Un paio di anni fa, d’estate, erano circa le due di notte quando io e tre miei “amici di cuffia” siamo andati in esplorazione del Monte Conero con ai piedi delle Vans.
Abbiamo camminato per ore tra roghi e rocce, armati di torcia by iPhone con il 10% di batteria carica!
Dopo aver attraversato ragnatele a grandezza uomo, essere scivolati almeno sei volte per ciascuno, aver colloquiato a versi e stretto amicizia con mamma cinghiale, ci siamo ritrovati su uno scorcio che da sul mare, esattamente sopra uno dei punti d’interesse più ambiti da raggiungere e fotografare di tutta la riviera: “Le due sorelle”.
Non avevo mai provato una sensazione simile!
La percezione dei sensi andava oltre la realtà: la luna piena illuminava tutto come fosse mezzogiorno, ma con una classe e una raffinatezza anni luce da quella del sole.
Davanti a noi il mare infinito con decine e decine di pescherecci al lavoro con i loro fari di profondità accessi, come lucciole in un campo di grano.
L’odore pungente delle piante radicate sulla roccia, il vento leggero e il clima temperato rendevano magico il momento, quasi surreale!
Sotto ai nostri piedi l’appuntita scogliera e alla nostra destra la sfavillante riviera del Conero con le sue località balneari da sogno completamente illuminate.
Uno spettacolo! Quasi d’istinto tiro fuori il telefono dalla tasca dei bermuda per fare qualche foto, gli occhi mi si focalizzano sulla scritta “nessun segnale” in alto a sinistra e penso: “Ciao mamma spero un giorno di rincontrarti!”.
Comincio a scattare e subito mi rendo conto che l’esposizione è troppo ampia, il flash dello smartphone illumina al massimo qualche metro avanti a me e la funzione HDR è praticamente inutile.
Tutto d’un tratto mi sento impotente e triste: aver fatto tutta quella strada a piedi, di notte, avere il paradiso avanti agli occhi e tornarsene indietro senza alcun ricordo di questa esperienza nel rullino del telefono. Che delusione!
Torno a casa senza dare troppo peso alla cosa, ma nel profondo dell’anima non riesco a darmi pace per le foto non scattate.
Strano, vero? Quindi decido di soffermarmi un attimo sulla questione e cercare il “perché” di questa fastidiosa sensazione.
Se quindici anni fa mi fossi trovato nella stessa situazione, e probabilmente senza alcun telefono con fotocamera per ambire a scattare una foto paesaggistica, per lo più in piena notte, sarei tornato a casa con un bagaglio pieno zeppo di bei ricordi ad effetto da raccontate e descrivere nei minimi dettagli ad amici e familiari, lasciando tutti sbalorditi e con la voglia di provare la mia stessa esperienza.
Oggi, invece, è come se i terabyte del nostro cervello fossero diminuiti all’improvviso!
Spesso, per ricordare un istante piacevole, abbiamo bisogno di collegare il cervello al telefono (e chi lo dice che un giorno non lo faremo veramente con un cavo, o meglio ancora attraverso un chip e una rete wi-fi), guardare un’immagine sul display, e solo a quel punto scatta la scintilla emozionale del ricordo.
Fotografiamo e registriamo ogni cosa che ci accade attorno, per paura di dimenticarcela o per condividere quel contenuto con altre persone: sui social network con la pretesa di attirare un minimo di attenzione sui noi stessi, pensando di mostrare al mondo qualcosa di originale e di conseguenza sentirci esclusivi, su chat di messaggistica istantanea con amici e parenti per trasportarli, astrattamente, in un batter d’occhio lì, sul posto dell’avvenimento insieme a noi e farli morire di invidia.
A tutto questo, aggiungerei anche per pigrizia di concentrarci a ricordare!
Sembra stupido ma al giorno d’oggi, per esempio, siamo stati abituati a sostituire un buon libro e il piacere della lettura con un film o una serie tv su Netflix.
Non intendo generalizzare ma i dati rilevati lo scorso anno dall’AIE, Associazione Italiana Editori, parlano chiaro: gli italiani che hanno letto almeno un libro lo scorso anno sono 29,8 milioni su il totale di 60,59 milioni.
Il nostro cervello preferisce un video a un libro per il semplice motivo che deve sforzarsi molto meno per captare informazioni e ricreare, dentro di sé, immagini di ciò che i nostri occhi vedono.
Per lui è un po’ come stare sdraiato e rilassato alle Maldive a prendere il sole sorseggiando una pina colata!
Invece, leggere è più impegnativo e il livello di concentrazione necessario è molto più alto, ma come dice lo scrittore Sebastiano Vassalli:
“Con la lettura ci si abitua a guardare il mondo con cento occhi, anziché con due soli, e a sentire nella propria testa cento pensieri diversi, anziché uno solo. Si diventa consapevoli di se stessi e degli altri”
E non credo serva aggiungere altro!
La tecnologia e la ricerca ci portano a scoprire sempre nuovi orizzonti, statistiche, piattaforme di elaborazione, studio e raccolta dei dati sempre più intelligenti, ci aiutano a ottimizzare, a ridurre e a semplificare i processi di lavoro e di ragionamento in una maniera che fino a qualche anno fa era inimmaginabile.
Ma non dimentichiamoci mai che tutto ciò è possibile grazie alla capacità dell’uomo di emozionarsi e provare sensazioni.